05 maggio 2011

SVILUPPO SOSTENIBILE: QUANDO L'ECOLOGIA CONTA!



Il cosidetto "equlibrio delle tre E" trova la prima definizione in ordine temporale nel 1987 nel rapporto Brundtland redatto dall’ONU (World Commission on Environment and Development, WCED) e recitava più o meno così:
«…..è uno sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni»

Visione alquanto antropogenica!...da allora sino a oggi ha subito diverse modifiche a esempio nel 1992 viene precisato dalla World Conservation Union:

“…..un miglioramento della qualità della vita, senza eccedere la capacità di carico degli ecosistemi di supporto, dai quali essa dipende”.

Herman Daly definisce le tre condizioni generali concernenti uno sfruttamento sostenibile delle risorse naturali, secondo un concetto di ricerca dell’equilibrio auspicabile tra uomo ed ecosistema:
1. il tasso di utilizzazione delle risorse rinnovabili non deve essere superiore al loro tasso di rigenerazione;
2. l'immissione di sostanze inquinanti e di scorie nell'ambiente non deve superare la capacità di carico dell'ambiente stesso;
3. lo stock di risorse non rinnovabili deve restare costante nel tempo

Chi è in grado di definire il tasso di utilizzazione delle risorse e confrontarlo con il tasso di rigenerazione? Chi è in grado di controllare, monitorare misurare l’emissione di sostanze inquinanti e definire la capacità di carico (carring capacity)? L’ecologo!

Negli anni Novanta prima (1994) l'ICLEI (International Council for Local Environmental Initiatives)
Sviluppo che offre servizi ambientali, sociali ed economici di base a tutti i membri di una comunità, senza minacciare l'operabilità dei sistemi naturali, edificato e sociale da cui dipende la fornitura di tali servizi definisce lo sviluppo sostenibile come lo sviluppo che fornisce elementi ecologici, sociali ed opportunità economiche a tutti gli abitanti di una comunità, senza creare una minaccia alla vitalità del sistema naturale, urbano e sociale che da queste opportunità dipendono..”.
Poi nel 1997 con il protocollo di Kyōto alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici istituendo il risparmio energetico attraverso l'ottimizzazione sia nella fase di produzione che negli usi ed educazione al consumo consapevole e lo sviluppo delle fonti alternative di energie.

Ora nel 2001, l'UNESCO ha ampliato il concetto di sviluppo sostenibile indicando che:

"La diversità culturale è necessaria per l'umanità quanto la biodiversità per la natura, la diversità culturale è una delle radici dello sviluppo inteso non solo come crescita economica, ma anche come un mezzo per condurre una esistenza più soddisfacente sul piano intellettuale, emozionale, morale e spirituale".

Ed ecco che la diversità culturale diventa il quarto cardine accanto al tradizionale equilibrio delle “tre E”.
Attualmente il nuovo concetto di Sviluppo sostenibile ha contribuito a generare diversi approcci multidisciplinari vengono mosse calde critiche dai movimenti facenti capo alla “Teoria della Decrescita” ritenendo impossibile pensare uno sviluppo economico basato sui continui incrementi di produzione di merci che sia anche in sintonia con la preservazione dell'ambiente, in particolare viene condannata l'ottica dello sviluppo sostenibile dei paesi occidentali che si trovano di fronte al paradossale problema di dover consumare più del necessario pur di non scalfire la crescita dell'economia di mercato, che genera inevitabilmente l’importante problematica dello sovrasfruttamento delle risorse naturali, aumento dei rifiuti, mercificazione dei beni.
Il tutto non è quindi compatibile con la sostenibilità ambientale: lo sviluppo sostenibile appare quindi come una contraddizione in termini, in ogni caso non più applicabile ad un modello economico destinato a durare nel tempo.


A novembre 2009 si è pubblicatala norma ISO 26000 "Guida sulla responsabilità sociale" che intende fornire una guida mirata a responsabilizzare tutti i tipi di organizzazioni sull'impatto delle loro attività sulla società e sull'ambiente, affinché tali attività siano condotte in una modalità che, in accordo con le leggi applicabili, sia basata su un comportamento etico e sia consistente con gli interessi della società e di uno sviluppo sostenibile.
Il concetto di sviluppo sostenibile in Italia, alla luce del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, in materia "ambientale" con le modifiche apportate dal D.lgs 16 gennaio 2008.

All’art. 3-quater (Principio dello sviluppo sostenibile) si recita:

La risoluzione delle questioni che coinvolgono aspetti ambientali deve essere cercata e trovata nella prospettiva di garanzia dello sviluppo sostenibile, in modo da salvaguardare il corretto funzionamento e l'evoluzione degli ecosistemi naturali dalle modificazioni negative che possono essere prodotte dalle attività umane”.

Insomma Ambientale non è Ambientalista, è necessaria una multidisciplinarità per rendere possibile questa grande intenzione umana: gli economisti ambientali come il diritto ambientale rimangono materie fondamentali, ma come potrete notare da questa carrellata di eventi, si parla sempre di risorse ambientali e di non superare la carring capacity di un ecosistema, o capacità portante..per intenderci il punto di non ritorno, dove il sistema viene reso anaelastico per il troppo sfruttamento!
E allora chi ha il coraggio di dire che gli ecologi, il biologo, il botanico..insomma lo specialista di settore a seconda della risorsa in questione, non c’entra nulla?
Ancora di più un Ambientale (dottore e/o ricercatore) considera l’uomo (come da buon ecologo) facente parte degli ecosistemi…a differenza dell’Ambientalista che lo mette all’esterno!
Che dire: non si potrà avere sostenibilità e sviluppo sostenibile finché vige cattiva informazione e pregiudizio verso l’Ecologia e materie affini..splendida e delicata scienza nata relativamente di recente (anni Settanta circa) che ne ingloba tantissime altre (es. filosofia, economia, biologia, ecc).
Rifflettiamoci su, affinché quegli sforzi fatti dalle comunità non vadano persi!